Sempre più spesso capita di incontrare professionisti che si definiscono coach, con vari prefissi come mental, life, personal,che promettono di saper instaurare relazioni di aiuto psicologico, al fine di migliorare alcune capacità dell’altro.
Ma cosa sanno fare e che tipo di obbiettivi si possono raggiungere con il supporto di questa figura professionale? Che differenze ci sono tra il coach e lo psicologo, lo psicoterapeuta o lo psichiatra? Proviamo a fare chiarezza.
Coach è una parola che deriva dall’inglese e normalmente si traduce con la parola italiana carrozza o pullman. Il termine arriva in Italia negli anni ottanta in ambito sportivo: l’allenatore diventa il coach. Poi, arriva in ambito organizzativo: il coach diviene il ruolo assunto da un superiore nel momento che aiuta e forma un suo collaboratore, attraverso momenti di affiancamento pratico. Il ruolo poi è passato nel mondo della consulenza d’azienda, come fare il coach ad un dirigente, fino ad approdare nel mondo della relazione di aiuto rivolto a persone in difficoltà, tipo il mental coach o il life coach.
Pertanto, dentro alla parola coach è possibile ritrovare competenze e ambiti di applicazione molto differenti come, per esempio, ritroviamo tra un coach sportivo e un coach in azienda e un mental coach.
In generale il coach si pone l’obiettivo di migliorare delle performance, di riuscire a potenziare alcune facoltà e di aiutare una persona a vivere stando bene o meglio attraverso il raggiungimento di obiettivi specifici e delimitati. Per fare questo spesso fa uso di tecniche, modelli o teorie che il coach trasferisce attraverso la relazione e attraverso momenti didattici-formativi.
Per diventare coach si possono percorrere molte strade e questo dipende dal tipo di attività di coaching che si svolge. Se l’attività viene svolta dentro ad una organizzazione l’iter formativo di questo ruolo matura dentro la stessa organizzazione attraverso vari tipi di esperienze. Nell’ambito sportivo, per esempio, ogni coach ha un suo iter formativo, come nel calcio, dove gli allenatori frequentano corsi specialistici.
Per quanto riguarda i coach che svolgono la loro attività come liberi professionisti e si propongo di aiutare persone più o meno in difficoltà, come per i life coach o i mental coach, generalmente – ma non sempre – essi svolgono studi di psicologia in corsi della durata media di tre anni, che spesso si combinano con altre e varie esperienze formative di natura e durata variabili.
La formazione di un coach non è regolata dalla legge e questo fa sì che l’etica delle organizzazioni o quella personale sia l’unico stimolo ad una preparazione approfondita e funzionale all’ambito nel quale si declina la professionalità del coacher.
Il coach non si può occupare di sofferenza, patologia e cura poiché la legge glielo vieta, prevedendo per queste questioni ruoli come quello dello psichiatra o dello psicoterapeuta. Ma nonostante questo, non è raro trovare life coach o mental coach che operano con persone che soffrono e questo accade non solo perché manca una legge che regola questa professione, ma anche perché alcune problematiche umane si pongono al confine tra la sofferenza (ambito psico) e il voler acquisire capacità (ambito non specifico). Un esempio può essere la persona che soffre di importanti disturbi del sonno e che può essere aiutata da uno psicoterapeuta che punterà a cambiamenti strutturali della persona o da un coach (o altri) che, per esempio, punterà ad insegnargli tecniche di rilassamento funzionali all’addormentamento.
Per quanto riguarda le differenze tra coach e psicologo, psicoterapeuta e psichiatra esse dipendono da come è declinato il ruolo del coach. In alcuni casi il coach è un ruolo totalmente diverso da quello dello psicologo, psicoterapeuta e psichiatra; in altri casi le figure si sovrappongono, come quando uno psicologo o uno psichiatra fa anche il coach. In altre circostanze, come accade per il life coach o il mental coach, vi sono molte somiglianze, ma generalmente lo spazio di manovra di un coach è molto più limitato e povero rispetto a quello possibile da uno psicologo o da uno psicoterapeuta o psichiatra, se non altro per via dell’iter formativo che nel secondo caso è molto lungo e variegato e quindi capace di sviluppare competenze molto più complesse.
In conclusione, il coach spesso sembra più un modo di porsi e presentarsi che non essere un vero e proprio ruolo professionale. Più un’etichetta da assumere in varie circostanze e a prescindere dal proprio iter formativo, utile in tutti quei contesti nei quali si cercano, e si possono dare, risultati superficiali e parziali legati a una specifica esigenza/problematica/obiettivo, in breve tempo e con poco dispendio di energie.
Andrea Spatuzzi
Psicologo, psicoterapeuta
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