Inizialmente si valutarono alcune aree libere fuori Milano – dove oggi, ad esempio, sorge l’aeroporto di Malpensa – ma la scelta ricadde sul grande parco della città di Monza.
Da qualche mese la proprietà del Parco era passata dalla Casa Reale dei Savoia allo Stato Italiano: il governo fascista allora in carica aveva quindi stabilito di sfruttare questo immenso territorio dotandolo di servizi sportivi (piscine, campi da tennis) e strutture per l’accoglienza di orfani (le colonie elioterapiche di San Fedele e del Mirabellino).
La costruzione del circuito, ben 10 km di tracciato stradale contro i 14 inizialmente progettati, si inseriva perfettamente in questa nuova visione del Parco ed era consonante anche al clima culturale allora in voga: il Futurismo, con il suo mito del progresso, della velocità e dell’automobile come emblema della modernità trovava così la sua ideale consacrazione.
La pista fu terminata in tempi record con soli tre mesi di lavori per i 5,5 km di pista e i 4,5 km di anello per l’alta velocità; lo scopo del circuito non era però solo legato alla finalità sportiva, infatti la struttura fu spesso utilizzata per testare novità scientifiche legate alla materia stradale.
Lo sapevate, per esempio, che l’asfalto drenante, i guard-rail e il telepass sono stati sperimentati a Monza?
Le gare che si disputarono sul circuito erano famose per le grandi velocità raggiunte: moto e automobili da corsa registravano qui record su record. Tuttavia la spericolata velocità fu la causa di numerosi incidenti, in alcuni casi anche mortali; come non ricordare tra questi il celeberrimo episodio che vide protagonista Alberto Ascari, morto in pista durante un giro di prova nel maggio del 1955, nel punto in cui oggi si trova la variante che ne porta il nome.
Per rendere il tracciato più sicuro furono apportate negli anni numerose modifiche (una di queste firmata dal conte Vincenzo Florio negli anni ’30), eliminando lunghi rettifili a favore di chicane e rinunciando ad utilizzare alla spettacolare curva parabolica; rispetto agli esordi, il percorso di gara oggi risulta notevolmente ridotto a 5,793 km di pista.
Curioso fu l’utilizzo del circuito durante la Seconda Guerra Mondiale: in una sezione dell’Autodromo di Monza furono infatti sfollati gli animali esotici del giardino zoologico di Milano. Disgraziatamente un grande felino riuscì a fuggire da una gabbia e uccise il guardiano che aveva cercato di riacciuffarlo. Nell’aprile del ’45 invece una sfilata di mezzi corazzati alleati distrusse il fondo stradale e furono quindi necessari grandi interventi per ripristinare l’utilizzo della pista.
Che la presenza del circuito abbia alterato gli equilibri del Parco, è indubbio e fuori discussione: le prospettive naturali create da Luigi Canonica, la vegetazione secolare e la fauna hanno risentito enormemente di questo massiccio intervento su un’area molto ampia.
Monza però oggi è anche l’Autodromo: una struttura e una tradizione che rendono la città famosa nel mondo, della quale difficilmente si riesce ad immaginare di poter rinunciare. La discussione però tra favorevoli e contrari alla presenza della pista nel Parco è sempre aperta, e il dibattito sembra non esaurirsi mai.
COMMENTI DISABILITATI SU QUESTO POST